Meditazione e neuroscienze

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La meditazione con attenzione focalizzata, consiste nel concentrarsi su un punto, per esempio un oggetto, o anche sul proprio respiro e stabilizzare la propria attenzione, fino regolarla.

L’obiettivo è quello di rilassare la mente, rimanere concentrati sul qui e ora, evitando le distrazioni, padroneggiando le nostre emozioni.

In Wisconsin un gruppo di ricerca, ha esaminato il cervello di persone che praticano con costanza, la meditazione con attenzione focalizzata.

Quando a questi esperti di meditazione sono stati fatti ascoltare, suoni angoscianti e voci che esprimevano preoccupazione, in queste persone si è constatato che la loro amigdala, risultava meno in funzione, rispetto alle persone che non praticano la meditazione.

L’amigdala (dal greco mandorla) è un nostro archivio, dove teniamo immagazzinate tutte le nostre esperienze a valenza emozionale, quando ci capita un qualsiasi evento nella vita, l’amigdala fa una comparazione, tra le esperienze che abbiamo vissuto e quelle nuove, ed emette dei segnali; è l’amigdala che fa scattare l’emozione paura, le reazioni ansiogene.

La pratica meditativa è capace di sviluppare nei suoi praticanti, la capacità di sviluppare stabilità emotiva e focalizzazione verso il presente.

Una neuroscienziata dell’università di Atlanta, Wendy Hasenkap ha cercato di identificare le reti funzionali che sono alla base della pratica meditativa in questione, attraverso uno scanner, utilizzato per la risonanza magnetica.

I partecipanti dovevano premere un tasto, alla fine di questo episodio  di “vagabondaggio mentale”.

Gli autori dello studio hanno identificato quattro fasi di quello che definiamo come ciclo cognitivo: un episodio di vagabondaggio della mente, un momento di presa di coscienza della distrazione, una fase di riorientamento dell’attenzione, e una fase di attenzione intensa e focalizzata. Ciascuno di questi episodi è legato all’attività di una rete cerebrale, la rete di default, che funziona quando siamo assorbiti nei nostri pensieri. La rete comprende, diverse regioni mediali della corteccia prefrontale e del cingolo.

Un altro tipo di meditazione è quella vipassana, (attenzione diffusa) chiamata meditazione con piena consapevolezza,; nell’università di Amsterdam, hanno studiato se l’allenamento a questa forma di attenzione diffusa, durante una pratica di consapevolezza piena, poteva modificare la capacità di conservare questa forma di attenzione globale e non reattiva.

Per la prova si è usato il compito dell’ammiccamento attenzionale (attentional blink) dove chi partecipa all’esperimento deve individuare, due cifre presentate molto velocemente in mezzo ad una successione di lettere.

Se appare circa 300 millisecondi dopo la prima, la seconda cifra passa inosservata, come se la persona avesse ammiccato, Se appare dopo un ritardo di 600 millisecondi, la seconda cifra viene di solito individuata facilmente.

L’ammiccamento intenzionale riflette la limitazione delle risorse: le regioni frontali del cervello, intente a memorizzare la prima cifra, non sono più disponibili a ricevere la seconda.

L’attenzione alla prima cifra è accompagnata da un’onda cerebrale, la cosiddetta p300, che riflette un’attività cerebrale che raggruppa le zone frontali, parietali, temporali.

Quindi, questa forma di attenzione globale, riduca l’ammiccamento, favorendo l’ottimizzazione delle risorse attenzionali, gli scienziati in questione, hanno dunque misurato le prestazioni comportamentali e l’onda p300, dopo un intensa seduta di meditazione.

Dall’osservazione è emerso che nei praticanti, era presente un’ammicamento attenzionale più debole “vedono con una maggior frequenza la seconda cifra” e un’onda p300 più debole.

La meditazione diffusa, o in piena consapevolezza, permette a quest’ultima di non rimanere “fissata” su una sensazione, una percezione, un pensiero, ma di essere disponibile a percepire a ciò che accade nel flusso della coscienza.

In un prossimo articolo scriverò della terza forma di meditazione, quella che sviluppa l’equanimità “consapevolezza non giudicante”.

di Fabio De Santis

di  Antoine Lutz, ilcervello che medita, in “Mente e cervello” n 97 anno XI Gennaio 2013, pag.34-35-36-37-38 ed. Le scienze.