articolo di Giuseppa Magnarapa
Dopo aver strapazzato un po’ la “fibromialgia”, preziosa scoperta recente nata dal connubio tra scienza medica e furbizia pubblicitaria, adesso tocca all’ “autismo”, altra parola magica che sta bene dappertutto e che fornisce un aplomb scientifico a chiunque la pronunci, non importa se a proposito o a sproposito.
Ma andiamo per gradi: la parola in questione viene dal greco e vuol dire semplicemente “da sé” o “individuale”. Come tutti sappiamo, la macchina, cioè l’auto, è di proprietà privata e per questo si distingue dal “bus” cioè dall’”omnibus” (latino) che, al contrario, è per tutti, cioè di uso pubblico. Inoltre, l’ “autista” è colui che materialmente, si trova al volante dell’auto.
Chi è, invece, l’”autistico”? Nonostante le sue modeste origini, questo termine è passato ad indicare un problema, anzi un disordine psichico molto complesso. Fino ad una ventina di anni fa, la psichiatria considerava l’autismo una delle malattie mentali più gravi: esso era sinonimo di “schizofrenia infantile”, cioè di una rara forma di psicosi schizofrenica che anziché colpire il soggetto intorno ai vent’anni, lo affligge, in forma analoga, fin dai 5 o 6 anni di età, risultando, ovviamente, assai più devastante, trovandosi il paziente in una fase evolutiva delicatissima del suo sviluppo neuropsichico. Con la stessa differenza che fa il bombardamento di un edificio solido e completo, rispetto a quello di un edificio di cui siano state appena completate le fondamenta e i muri perimetrali: quest’ultimo, infatti, non verrà mai più completato.
Si tratta di una malattia rarissima curabile solo in centri specializzati anche con psicofarmaci e con la supervisione di personale esperto: questo è, anzi era, l’autismo.
Da quello che si sente in giro oggi, invece, ce ne sarebbe un’autentica pandemia. L’autismo si è trasformato nel simbolo della diversità e della disabilità, anzi nella parola magica che sta bene dovunque, negli slogan dei movimenti antivax che lo considerano la conseguenza ovvia della vaccinazione, di qualunque vaccinazione, nelle relazioni psicologiche scolastiche finalizzate ad assumere insegnanti di sostegno, nelle conversazioni salottiere che vedono, nell’avere un figlio autistico, una specie di stigma del politicamente corretto (vuoi mettere avere un figlio con “schizofrenia infantile” che fa tanto becero-destrorso rispetto ad avere un figlio “autistico” molto più alla page?), per non parlare dei numeri verdi o degli spot televisivi con gli sms da spedire per combattere l’autismo stesso e relativa inquadratura di un bambino, magari non troppo sveglio che se ne sta zitto guardandosi intorno, come potrebbe fare anche un bambino normale perplesso di fronte ad un imbecille che lo sta riprendendo, spacciandolo per autistico.
Scusate la brutalità, ma il punto è proprio questo: l’autismo è letteralmente dilagato in questi ultimi anni a causa dell’assurda inclusione in questa diagnosi, di bambini affetti da un ritardo mentale più o meno grave che certamente hanno bisogno di supporto terapeutico e comportamentale, ma che non possono essere spacciati per autistici allo scopo di drenare risorse finanziarie necessarie a curarli: il ritardo mentale, essendo per lo più congenito, non può essere curato, né prevenuto, salvo i casi riconoscibili nel corso della gravidanza, come ad es. la sindrome di Down in cui, peraltro, l’unica prevenzione possibile è la scelta materna di abortire.
L’autismo, al contrario, quello vero, può non dare segni di sé fino a quando il bambino non comincia a relazionarsi, in modo patologico, col mondo esterno: ma, ribadisco, si tratta di una patologia rarissima al cui controllo non contribuisce affatto la confusione creata da queste irresponsabili mode pseudoscientifiche.