di Giuseppe Magnarapa
C’E’ OMOFOBIA E OMOFOBIA.
Nell’attuale linguaggio politicamente corretto, per omofobia si intende non solo repulsione e disprezzo per gli omosessuali, ma anche quel leggero senso di diffidenza che alcune persone provano nei loro confronti. In altre parole, il termine implica sia il razzismo propriamente detto, sia il semplice e pur sempre riprovevole segregazionismo ideologico; ma il significato originario della parola, almeno per noi psichiatri, era analogo a quello di altre fobie, la claustrofobia o l’acrofobia ad esempio, cioè paura irrazionale e patologica di qualcosa di per sé innocuo come, rispettivamente, i luoghi chiusi e quelli sopraelevati.
La differenza sta nel fatto che, per omofobia, non si intendeva la paura degli omosessuali, bensì la paura di essere omosessuali: ma come, diranno molti di voi sussultando, come si fa ad aver paura di una condizione di sessualità alternativa così comune, così accettata, priva di inconvenienti e ricca di potenzialità vitali e creative? Ebbene sì, fino a pochi anni fa, (e forse anche oggi) c’era ancora qualcuno che temeva di essere omosessuale, perché pensava che questa fosse non solo una condizione discriminante, ma anche una vera e propria malattia. La Psichiatria ufficiale distingueva addirittura l’ omosessualità egosintonica, cioè accettata e vissuta senza prevenzioni, da quella egodistonica che, al contrario, entrando in conflitto con le tendenze innate del soggetto (o con quelle che tali egli riteneva), gli procurava disturbi e disagi anche gravi di ordine psichico e somatico. Solo quella egodistonica, naturalmente, era considerata un disturbo da curare, ma in alcuni casi, non era facile distinguere l’una dall’altra, spesso anche a causa di terapisti superficiali e prevenuti. In un caso di osservazione personale, un giovane fu tenuto in psicoterapia per un paio d’anni, da un collega che cercava disperatamente di fargli accettare la sua asserita omosessualità, senza altro risultato che vederlo peggiorare progressivamente fino ai limiti di un tentato suicidio. Ad una successiva valutazione del sottoscritto, emerse che il paziente era un ossessivo-compulsivo la cui idea parassita prevalente, era proprio la convinzione ferrea (e patologica) di essere omosessuale. Si trattava, in altre parole, di un ipocondriaco grave, convinto di essere affetto da omosessualità. Solo dopo un paio d’anni di terapia con serotoninergici, il paziente emerse dalla sua angosciosa stagnazione psichica e, attualmente, è in procinto di sposarsi con la sua fidanzata.
Non vi agitate, non sto dicendo che l’omosessualità è una malattia da curare coi farmaci, vi sto solo mettendo in guardia dal sentito dire e, soprattutto dai pregiudizi, da quelli negativi, certamente, ma anche da quelli positivi, entrambi ugualmente dannosi per il nostro ecosistema psichico.